Traduzione di Roberto Cantini e Mario Andreose, edito da Il Saggiatore
Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna. Unicamente la mediazione altrui può assegnare a un individuo la parte di ciò che è Altro. In quanto creatura che esiste in sé, il bambino non arriverebbe mai a cogliersi come differenziazione sessuale. Tanto nelle femmine che nei maschi, il corpo è prima di tutto l’irradiarsi d’una soggettività, lo strumento indispensabile per conoscere il mondo: si conosce, si afferra l’universo con gli occhi e con le mani, non con gli organi sessuali. I drammi della nascita, dello svezzamento avvengono nello stesso modo per i due sessi; l’uno e l’altro hanno i medesimi interessi, gli stessi piaceri; dapprima, la fonte delle loro esperienze più gradevoli consiste nel succhiare; poi attraverso una fase anale in cui traggono le soddisfazioni più intense dalle funzioni escretorie, che sono analoghe per tutti e due; pure analogo è lo sviluppo genitale; esplorano il proprio corpo con la stessa indifferente curiosità; dal pene e dalla clitoride nascono uguali, dubbi piaceri; e, in quanto la loro sensibilità già tende a obbiettivarsi, è diretta verso la madre; la carne femminile, dolce, liscia, elastica, suscita nel bambino e nella bambina stimoli sessuali, che si traducono in un desiderio di prendere, di afferrare; è aggressiva la maniera con cui la bambina, come il bambino, abbraccia sua madre, la palpa, l’accarezza; provano la stessa gelosia quando nasce un altro bambino e l’esprimono in modi analoghi: collera, malumore, disturbi urinari; ricorrono agli stessi vezzi per conquistare l’affetto degli adulti. Fino ai dodici anni la giovinetta è robusta quanto i suoi fratelli, e mostra identiche capacità intellettuali; non vi sono zone dove le sia vietato di rivaleggiare con loro.